Zero: la Recensione della nuova Serie TV Italiana targata Netflix

Scritto da: Roberta GrecoData di pubblicazione: 

Zero. Zero è il primo dei numeri. Quello che moltiplicato per tutti gli altri resta sempre sé stesso. Ma è anche quello che i bambini non conoscono fin da subito. 

Pensateci: si inizia sempre a contare dall’UNO, non si riflette mai su cosa c’è prima di quel piccolo dito. 

Lo zero però è soprattutto un concetto: rappresenta l’assenza. Quella totale, spaventosa e silenziosa. Indica una valutazione; negativa, spoglia, inconsistente. Ma accostato ad altre parole può essere anche rassicurazione: zero difficoltà, zero paura, semplicemente zero. 

Zero non rappresenta una realtà in sé, in quanto tutto ciò che esiste è un numero, una storia, un destino; bensì descrive una condizione: io valgo zero. Io mi sento zero. Dunque, io sono Zero.

È per tutte queste ragioni e per tante altre che battezzare una nuova storia “Zero”, non può che generare una forte aspettativa in tutte quelle piccole unità che si apprestano a conoscerla e che, in cuor loro, sperano di non ritrovarsi di fronte a una vera e propria nullità: uno zero.

Nel caso della nuova serie TV che ha debuttato su Netflix lo scorso aprile, non si parla di gradimento zero, ma certamente non si può neanche definirlo un prodotto eccellente, realistico o finemente elaborato. Zero è a tutti gli effetti un’occasione mancata.

Era tempo che in Italia entrassero nuovi modelli nell’immaginario collettivo. Era tempo che in Italia si desse maggior voce agli invisibili, i più deboli - le nullità - tutti coloro riguardo i quali chi è nato in una condizione di privilegio può raramente dare giudizi obiettivi. Era tempo che in Italia nelle produzioni cinematografiche e televisive fosse dato spazio ad attori neri. Era tempo che in una Italia ancora troppo razzista, un colosso come Netflix decidesse di affrontare il problema e di soppiantare i troppi, tanti teen drama in cui se per sbaglio si dà voce a un personaggio non eterosessuale, non bianco ed estraneo alle ferree abitudini è già una conquista.

Era tempo che arrivasse una ventata di cambiamento e passerà ancora del tempo prima che questa arrivi a scompigliarci i capelli e a riempirci i cuori stanchi, dato che Zero - la serie TV basata sul romanzo Non ho mai avuto la mia età di Antonio Dikele Distefanoè molto lontana dal raggiungere gli obiettivi sopra elencati

Zero è il nome che Omar (Giuseppe Dave Seke) – un ragazzo italiano di origini senegalesi – sceglie per il personaggio che lo rappresenta in un fumetto disegnato da lui.

“Sono uno come tanti. Invisibile come i quartieri che abitiamo”.

“Sono quello delle pizze. Un modo come un altro per dire nessuno”.

“Lo spacciatore. Il 'vu cumprà'. Il ladro. Quello che ti serve i drink. Cosa è meglio? Essere scambiato per quello che non sei o non essere visto affatto"?

È in questo modo che Omar si disegna nei fumetti e nella vita: con indosso una maglia col numero zero (la stessa portata da sua madre) che rappresenta la metafora dell’invisibilità, il suo superpotere. Sì, Omar ha un dono: quando ha paura, quando è felice, ogni volta che prova una fortissima emozione lui riesce a diventare invisibile.

E sarà proprio la consapevolezza di avere un dono in grado di farlo agire senza lasciare traccia a risvegliare in lui il senso di appartenenza al quartiere della periferia milanese in cui vive: il Barrio. Quartiere popolato da molti invisibili come lui, i quali vengono gentilmente invitati a lasciare le loro case da una importante agenzia immobiliare di Milano: la “Sirenetta”, che tramite l’ausilio di criminali locali e l’omertà delle forze dell’ordine, progetta una gentrificazione forzata, mettendo tutti i residenti del Barrio in condizione di andar via. È così che Zero incontra i suoi nuovi compagni di avventura: dei ragazzi che come lui vogliono rivendicare i loro diritti e far sentire la propria voce.

La durata delle singole puntate è piuttosto misera per una serie TV che aveva il compito di lanciare un messaggio e di essere il capostipite di un genere più corretto. È proprio per questo che gli episodi risultano sciatti, pieni di dialoghi tagliati male e che non raccontano nulla dei loro portavoce, ridotti a piatte figure bidimensionali, talvolta attraversate da improvvisi e immotivati cambiamenti di personalità. Nonostante la recitazione dei ragazzi non sia malvagia, nessuno di loro viene approfondito se non addirittura psicologicamente perlomeno nelle sue abitudini, nella sua storia, in qualcosa di diverso dal ricorrente “ha avuto un passato difficile”. Molte serie TV con episodi pressoché della medesima durata sono riusciti a portare a casa un risultato migliore a partire dai cult Scrubs e Sex and the City, fino alla più recente SKAM Italia.

Per restare in tema di sceneggiatura, gli stereotipi regnano sovrani: dal poliziotto razzista con una marcata cadenza meridionale, alla dolce e gentile agente che vuole aiutare i poveri ragazzi in difficoltà tentando di ribaltare il sistema, all’assenza di creatività nell’assegnare un nome al quartiere. Molti degli eventi narrati, inoltre, risultano poco credibili e al limite del surreale.

A prescindere da critiche e recensioni, ogni idea ha il diritto di non essere giudicata per il lavoro che c’è dietro, ma soltanto in base al prodotto finito; e un prodotto finito che si rispetti e che non abbia alle sue spalle una maestria tale da renderlo un unicum, deve essere inquadrabile. Qui però non si capisce in quale realtà ci troviamo: il taglio fantascientifico-realistico portato da Zero fa precipitare lo spettatore in uno stato di confusione misto a incertezza nel proseguire.

Estremamente convincenti le colonne sonore, dalla grande e sempre più nota scoperta di The Supreme, al brano dell’anno Voce di Madame, alla più che azzeccata canzone di Mahmood e tante altre chicche. Bella la color palette degli episodi e molto interessante la fotografia, soprattutto negli effetti speciali che non risultano né ridicoli né poco credibili. Tutte cose che compensano gli errori e le mancanze che il prodotto evidenzia sin dai primi istanti.

È importante che Zero abbia aperto un nuovo capitolo e come accade spesso per tutte le prime volte, gli esperimenti ambiziosi si scontrano con i veterani della tradizione o per dirlo in termini più semplici, le prime ciambelle non escono quasi mai con il buco.

Zero si rivela un’occasione di inclusione e di riflessione spesa male, come la maggior parte delle prime volte.

Nonostante una più che gradevole cura dei dettagli, un linguaggio giovanile e un cast genuino e volenteroso, la serie presenta degli errori notevoli ed elementari che la rendono un prodotto male elaborato soprattutto a causa della forte aspettativa che il suo arrivo aveva suscitato nel pubblico.

madforseries.it

2,0
su 5,0

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