Tiger King: la Recensione dell'Imperdibile Docuserie di Netflix, che sta facendo Impazzire il Mondo Intero
Scritto da: Danilo di Feliciantonio - Data di pubblicazione:
Negli scorsi anni Netflix ci aveva deliziato con la diffusione di alcuni documentari di altissimo livello - come ad esempio il notevole Wild Wild Country, che abbiamo recensito in questo articolo - indice della volontà del colosso dei media di metter su un piccolo archivio di produzioni più minimaliste e d’impatto rispetto a quelle con un budget più elevato, puntando sulla qualità e il contenuto “cuttin’ edge”.
Tiger King è una docuserie di sette episodi che si inserisce a pieno titolo in questo filone, ideata e girata Eric Goode con la collaborazione di Rebecca Chaiklin, e si candida sicuramente ad essere uno dei prodotti migliori di questo inizio 2020 assurdo, quasi a volerne ricalcare l’andamento surreale, a tratti schizoide, ed interpretarlo al meglio.
Partiamo subito con un piccolo disclaimer: la visione potrebbe essere sconsigliata a chi soffre nel vedere gli animali in gabbia, ma il vostro recensore ve la consiglia lo stesso perché, in un periodo come questo, in cui abbiamo tempo per romperci i coglioni a casa, forse è il caso di sbattere il muso con una realtà poco piacevole e di riflettere partendo da una questione, un racconto, un fatto, per poi allargare i limiti e gli spazi di indagine e spostarci verso argomenti più vasti e strutturali.
Questo è l’effetto che mi ha fatto questo progetto, oltre che farmi fare un sacco risate e stare incollato di fronte allo schermo per ore con gli occhi spalancati.
Joe Exotic è il protagonista indiscusso di questo piccolo capolavoro che sta mandando fuori di testa il pubblico americano: allevatore di animali esotici (tigri, leoni, puma e molto altro), proprietario di uno zoo privato e del business ad esso collegato, omosessuale poligamo dichiarato, cantante country e amante di droga e armi da fuoco, Joe è una specie di reietto, un istrionico “outlaw” la cui vicenda si incrocia con quella dell’attivista milionaria Carole Baskin. Fondatrice dal passato torbido dell’organizzazione no-profit Big Cat Rescue, Baskin è intenzionata con tutti mezzi a far cessare le attività del parco per sfruttamento e abuso di animali selvatici.
La faida tra queste due personalità molto egocentriche, a tratti narcisistiche, da vita a questo gioiellino di narrazione, una specie di romanzo animato che ammicca in un certo modo alla penna di Harry Crews in cui si mischiano crime e indagine di costume, oltre che una riflessione sull’essere umano e sulla società capitalistica stessa: basti soltanto pensare che in America, come viene asserito in Tiger King, sono allevate circa 10000 tigri in cattività per scopi legati all’immagine e al lusso, più del doppio di quelle tutelate nel loro habitat naturale, che si aggirano intorno alle 4000 unità.
Sullo sfondo del racconto c’è inoltre l’Oklahoma, uno degli stati stelle e strisce giù poveri in assoluto, fotografato quasi fosse una location post-nucleare, tanto che alcune scene girate nello sporco, nel fango e nel degrado sembrano citare le suburbia povere descritte da Harmony Korine in Gummo.
Video su social di minacce con bambole gonfiabili a cui si spara in testa, video amatoriali di matrimoni gay, frodi, manipolazione e politica, tour per famiglie negli zoo e spettacoli di magia nei centri commerciali, traffico internazionale e omicidi: tutto entra a far parte nella miscela esplosiva di Tiger King, anche sequenze sullo sguardo degli animali esotici in gabbia come se osservassimo un documentario del National Geographic, e che richiamano spesso il dolore degli stessi protagonisti della vicenda, il loro essere spietati in certi momenti, predatori in altri.
Se prendiamo come termine di paragone altre produzioni documentaristiche di Netflix, come il citato Wild Wild Country, possiamo notare alcune divergenze di stile che si adattano perfettamente all’anarchia narrativa della vicenda: se entrambe le produzioni sfruttano l’intervista come medium principale del racconti, a produzione dei fratelli Way si concentrava principalmente in scena più spartana e minimalista, senza voce narrante e un uso massiccio di filmati di repertorio.
Seppur queste tecniche siano comunque parzialmente presenti, Eric Goode diventa parte dello spettacolo stesso, pur rispettando una certa distanza dai fatti, strizzando l’occhio a Werner Herzog, maestro indiscusso del documentario (e di Cinema).
Anche la colonna sonora ci regala alcune perle assolutamente di valore, come “Down in the Hole” di Tom Waits (sigla del capolavoro televisivo The Wire, di cui abbiamo parlato in questo articolo) e “Moving On” di Nick Cave e Warren Ellis (che fa parte di un’altra soundtrack, quella del film “L’Assassinio di Jesse James”), entrambi pezzi assolutamente bellissimi che è stato un piacere riascoltare nel loro sottolineare momenti importanti dello show.
Tiger King stupisce, vince e convince, senza mezzi termini, come la vicenda realmente accaduta e i protagonisti della stessa. Seppur dentro la cornice del documentario, la serie è in realtà un mix anarcoide di generi più letterari che cinematografici, un’ode ad un loser folle assolutamente fuori dagli schemi come il microcosmo, o meglio, l’ecosistema, in cui vive e opera.
Dalla storia che viene raccontata e che sicuramente non mancherà di lasciare di stucco chi la osserva, traspare un forte senso di umanità e di dolore, ilarità, disgusto e fascino che caratterizza in pieno un lavoro encomiabile di un regista - Eric Goode - che insieme ad altri sta davvero contribuendo costituire un corpus di prodotti eccellenti su Netflix che altrimenti sarebbe relegata a trasporre malaccio storie tratte da videogames o tirare serie su scopiazzamenti di IT in salsa fantascientifica "pe’ alza’ due lire".
Se questo medium avrà pretese di durare nel tempo, forse è il caso di investire un po’ di più su produzioni del genere, sostenibili e che non sfigurerebbero in nessun film festival, oltre che di alzare l’asticella per discernere il valevole dal dozzinale.
In poche parole, più Tiger King e meno cazzate, che andrebbero lasciate perdere come ci insegnano i sempre più attuali Sex Pistols.
Tiger King è una docuserie che racconta la storia di Joe Exotic in un modo unico e spesso folle. Ma si tratta di una follia che non può che stupire positivamente lo spettatore.
Una produzione minimalista e d'impatto, rispetto a molte altre dal budget decisamente più elevato. Una proposta fuori dagli schemi che cerca di risollevare una piattaforma di streaming, quella di Netflix, dove la quantità sta prevalendo sulla qualità.
madforseries.it
5,0
su 5,0