The Handmaid's Tale 4: la Recensione dell'Ottavo Episodio di Questa Stagione

Scritto da: Maria Anna CappelleriData di pubblicazione: 

Attenzione: questo articolo contiene spoiler

Ecco la nostra recensione dell'ottavo episodio di The Handmaid's Tale, Testimonianza. Un po' in ritardo, ma comunque sempre in tempo prima della nuova puntata, che ricordiamo sarà la penultima.

Finalmente è arrivato il momento del processo contro i Waterford, il cui riavvicinamento sembra sempre meno di facciata. Negli stessi giorni, June assume di fatto la leadership del gruppo di ascolto tra ex-ancelle e, contrariamente al volere di Moira, porta la discussione - prima improntata sull'elaborazione pacifica dei traumi subiti - su tutto un altro piano, rivendicando il diritto ad essere furiose nei confronti dei loro aguzzini. La reazione simpatetica delle altre ragazze non si fa attendere, complice soprattutto l'arrivo della prima Zia di Emily, Irene, che fa riaffiorare anche nella nostra memoria un evento che, nei primi episodi della serie, lasciò tutti sgomenti.

Parallelamente, la puntata torna a seguire alcune vicende a Gilead: in particolare, rivediamo Zia Lydia, la cui crudeltà è sempre più fuori controllo. Per questo motivo, Comandante Lawrence le suggerisce di trovarsi una valvola di sfogo, e propone a tale scopo Jeanine, che quindi scopriamo essere sopravvissuta al bombardamento di Chicago, ed essere stata catturata dagli Occhi.

June Osborne vs Waterford

"Non sono agitata o spaventata. Non vedo l'ora, ca**o!".

June si mostra determinata di fronte ai giudici, ai giornalisti, al marito e, soprattutto, di fronte a Fred e Serena Waterford. Elisabeth Moss è al centro della scena e, in un monologo lunghissimo nel quale ad un certo punto sembra rivolgersi direttamente a noi, rende la sua testimonianza con contegno e chiarezza.

Considerato il contenuto, il racconto è senza dubbio straziante, ma - sembrerebbe volutamente - privo enfasi e carica emotiva. June appare fredda, talvolta sarcastica. Riporta gli eventi in ordine cronologico con precisione, certo (seppur con qualche voluta omissione), ma anche con un certo distacco che inevitabilmente stranisce.

Inoltre, non assistiamo ad un momento da processo del secolo, con annessa umiliazione schiacciante per i due antagonisti, anzi. Subito June viene messa in difficoltà dalle domande della difesa. È già abbastanza ironico che, uno che ha concepito un sistema in cui le donne non possono neanche leggere, abbia poi scelto una donna come suo avvocato in un processo internazionale. Ma provoca un sorriso molto più amaro il fatto che, come strategia difensiva, l'avvocata abbia scelto la colpevolizzazione della vittima - particolarmente in voga in tutti i procedimenti di violenza contro le donne.

Fred, poi, riesce ad intervenire - quasi cogliendo June in fallo - e persino a promuovere l'ideologia di Gilead, del cui successo - a suo dire - è prova vivente la gravidanza di Serena.

Ma è dopo l'udienza che avviene ciò che ci ha sorpreso di più: mentre ci saremmo aspettati manifestazioni di protestatori pronti a mettere i Waterford alla gogna, in realtà ad attenderli fuori dal tribunale c'era un'orda di fan e sostenitori.
Fred e Serena sono i cattivi: non si può stare dalla parte dei cattivi. Per questo la scena, anche se breve, ci ha lasciati attoniti, perché ci fa uscire dalla serie TV, dalla finzione, dalla distopia e ci porta alla realtà.

A parte qualche flashback del mondo prima di Gilead, questo aspetto del racconto non è mai stato approfondito troppo ed è stato dato quasi per assodato il concetto per cui certe idee riescono ad avere una presa enorme sulle persone, soprattutto in determinati contesti o frangenti storici. Soprattutto se veicolati nel modo giusto da persone carismatiche, come Fred e Serena, testimonial perfetti del brand.
"In una vasca che si scalda a poco a poco, finiremo bolliti senza neanche accorgercene".
Quando ci chiediamo come ha fatto una dittatura a prendere piede, un tiranno ad essere popolare, un regime liberticida ad essere accettato e anche desiderato: così. 

Le zie

La società di Gilead è improntata su un sistema autoritario e patriarcale nel quale tutte le donne sono in qualche modo vittime, anche le mogli e persino le zie. Ma non è affatto facile per lo spettatore riconoscerle come tali, figuriamoci averle in simpatia.
Per quanto riguarda le mogli, in realtà, la narrazione è stata impostata in modo tale da indurci a provare compassione: innanzitutto grazie alla figura di Serena (e al suo arco narrativo che ora però sembrerebbe aver subito una regressione), ancora più chiaramente nel caso di Eleanor Lawrence, e più di recente nel caso della giovanissima moglie conosciuta nei primi episodi di questa stagione.

Per le zie invece, il discorso è molto diverso. Aldilà di alcune scene nelle scorse stagioni, nella quarta è sempre più chiaro il percorso di Lydia: era un'educatrice devota, le cui azioni, anche le più violente e detestabili, miravano sempre ad un obiettivo nobile, ovviamente dal suo punto di vista e in base a suoi valori.

In questa stagione invece, è ormai definitiva la trasformazione in aguzzina crudele e meschina, e nell'ottavo episodio vediamo con ancora più chiarezza come non sia neanche più dotata di autocontrollo.

Non è ovviamente un caso che questa storyline venga ripresa proprio nello stesso episodio nel quale ci viene ricordata una delle scene più strazianti di The Handmaid's Tale: l'impiccagione della marta amante di Emily - nonché la mutilazione genitale di quest'ultima -  dopo la denuncia agli occhi da parte di zia Irene. 

All'esatto opposto di Lydia, Irene ha rinnegato il suo passato, che l'ha evidentemente segnata in modo indelebile, conducendola in una sorta di Divina Tragedia, dove l'inferno è non riuscire a ricevere il perdono da parte di Emily, e il modo in cui si è tolta la vita è il perfetto contrappasso. 

L'altro processo

June prende di fatto il comando del gruppo di terapia: palesemente non condivide il tono diplomatico e quasi condiscendente con il quale viene gestito da Moira, e sin da subito tenta di accendere la polemica e incitare le altre a dare libero sfogo ai loro veri istinti.  

Sorge legittimamente il dubbio che June abbia un disegno: questa rabbia vendicativa che si porta dentro e in cui è riuscita a trascinare anche Emily e le altre è fine a se stessa? Il suo sguardo compiaciuto nell'ascoltare le parole ciniche e spietate delle amiche, sembrerebbe celare un piano per ottenere giustizia (o, per meglio dire, vendetta) in modo più veloce e più efficace dell'attesa del processo. Che stia magari cercando di costruire il Mayday che non è mai riuscita ad incontrare (ammesso che esista)? Un piccolo esercito di donne arrabbiate sotto il vessillo di Nolite te bastardes carborundorum?

Non solo queste, ma sono tante altre le domande con cui ci lascia la fine di questo episodio: cosa avrà in serbo Lydia per Jeanine? Riuscirà davvero a manipolarla al punto da metterla contro June? Nel finale, il complicatissimo rapporto di June e il marito sembra arrivare ad una svolta positiva, ma riuscirà ad essere del tutto sincera? Inoltre Luke e Moira sono sempre più preoccupati e spaventati per June, ma riusciranno a distoglierla dai suoi cupi intenti vendicativi? E, soprattutto, sarebbe giusto che lo facessero? Perché, in fondo, la domande più importanti sono: chi decide quale sia il modo giusto o sbagliato di affrontare un trauma? E perché gli atti violenti di cui si è macchiata prima erano in qualche modo accettabili, mentre ora non lo sarebbero più?

L'ottavo episodio di The Handmaid's Tale 4 ci lascia con più domande che risposte, e non smette di sorprenderci, anche a ormai pochi passi dalla fine della stagione.

madforseries.it

4,4
su 5,0

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