La Recensione di Pretty Little Liars: Original Sin - Non si è mai abbastanza vecchi per un Teen-Drama
Scritto da: Roberta GrecoData di pubblicazione:
Come direbbe il cappello parlante in Harry Potter e la Pietra Filosofale: "Difficile, molto difficile..."
Non c'è nulla di semplice nella redazione dell'analisi di un remake, partendo dalla visione stessa: i paragoni iniziano infatti già dalla sigla, dalle istantanee simpatie e antipatie per i personaggi, dalla banalità o meno dell'intreccio e dal riconoscimento degli easter egg sparsi un po' qui un po' là.
Come già fatto in precedenza per l'uscita del remake di Gossip Girl, la cara Netflix, a tratti burlona a tratti regina di strategia del marketing, ha reso disponibile qualche mese prima dell'uscita di Pretty Little Liars: Original Sin la serie TV madre al completo, sia per gli abbonati nostalgici sia per quelli polemici che non aspettavano nient'altro che fare a pezzi il nuovo arrivato con sempre più mezzi a disposizione.
Sicché, dopo una operosa lucidata dello show in cui Alison scompare e dopo una presa visione tutta d'un fiato tra la notte di San Lorenzo e Ferragosto dello show in cui non scompare proprio nessuno, eccomi armata di dita saltellanti e lingua biforcuta a narrarne la singolar tenzone.
Dopo aver assistito a ben due spin-off di scarsa fortuna (Ravenswood e Pretty Little Liars: The Perfectionists), Roberto Aguirre-Sacasa, di cui non dovrei specificare alcun titolo tra parentesi ma, sarò misericordiosa e lo farò ugualmente (Riverdale, Le Terrificanti Avventure di Sabrina), ha deciso insieme a Lindsay Calhoon Bring di cimentarsi nel remake di Pretty Little Liars.
La serie TV madre racconta di un gruppo di amiche, le piccole bugiarde, a partire dalla scomparsa dell'ape regina, Alison DiLaurentis, colei che aveva scoperto il loro potenziale e che le aveva rese suoi piccoli cloni. A legarle, i segreti, come evidenzia la sigla Secret by The Pierces - all'inizio di ogni episodio. In seguito, a tenerle ancora più unite è la persecuzione ai loro danni a suon di messaggini broadcast e regalini inquietanti di uno stalker che si fa chiamare A.
La storia è basata sui romanzi della scrittrice statunitense Sarah Shepard e ha ottenuto un grandissimo seguito nonostante alcune trovate bizzarre, la classica discesa qualitativa dalla prima stagione alle seguenti e gli innumerevoli buchi di sceneggiatura a cui si è tentato di dare un senso in ogni episodio conclusivo.
La struttura di Pretty Little Liars è la seguente: circa 45 minuti ad episodio, una color palette classica dei teen-drama andati in onda nel secondo decennio del 2000, dei personaggi a cui ci si affeziona e una caccia alle streghe per scoprire chi sia il cattivo.
Non avevo alcun dubbio, già dalle premesse, che Aguirre-Sacasa, con una base di questo tipo, avrebbe messo su uno show a tinte molto più fosche e con dei caratteri molto più definiti che non devono piacere a tutti i costi bensì avere una funzione.
Infatti, i colori, le ambientazioni e la palette effetto fotocamera analogica con filtro polarizzatore ricordano facilmente le sue altre produzioni; dopotutto, ogni autore ha la sua firma.
La cosa incantevole di Aguirre-Sacasa e della sua equipe di macchinisti e coloristi che non vede l'ora di post-produrre è che fanno sì che una serie televisiva classica (nel senso che possiede tutto ciò che comunemente possiede una serie TV: personaggi, trama, dialoghi) diventi un piccolo universo indipendente in cui non ci si chiede perché i bagni di una scuola con enormi fondi pubblici (già , perché una scuola non privatizzata ha tutti questi fondi? Cos'è, il Sarah Lawrence?!) ricordino quelli di un riformatorio o perché tutte le case vengano costruite attorno a un cimitero ma si è come i lettori attenti di una graphic novel.
Per ciò che concerne i personaggi, Alison, Aria, Spencer, Emily e Hannah avevano qualche peculiarità ma cambiavano modi di fare e si scambiavano ruolo all'interno delle stagioni come delle trottoline impazzite. Non avevano delle funzioni specifiche e nemmeno erano l'identificazione di un prototipo o il mezzo attraverso cui personificare una particolare questione. Al contrario, in Pretty Little Liars: Original Sin come avviene nel mondo teatrale, le protagoniste rappresentano delle funzioni. Ho letto qualche giorno fa una commento in cui si criticava il fatto che, sebbene Imogen, Noa, Mouse, Tabby, Faran, Karen e/o Kelly fossero interessanti, non fossero altrettanto dinamiche.
Ed è proprio lì che vi volevo.
Come un moderno Teofrasto, Aguirre-Sacasa ha creato la bulla, la sorella della bulla (non facciamo spoiler noi), la black in power cinefila (e mi fermo qui), la succube ribelle, la ballerina figlia beniamina, la nerd curiosa e l'adolescente quasi madre, le ha riunite in una stanza e ha orchestrato una storia. Abbiamo davvero bisogno che queste adolescenti già solo per via del loro interessante pedigree siano più dinamiche? No, io non credo. Che razza di graphic novel sarebbe altrimenti?!
Ma non è neanche questa la cosa più ardita. Parliamo della loro stirpe.
Non è uno spoiler (si capisce già dal primo episodio) che le nuove Liars sono perseguitate dal nuovo A per via di qualcosa che le loro madri hanno fatto ad una certa Angela Waters. D'improvviso le teenager come delle nuove Betty Cooper si trasformano in Nancy Drew (fantastici gli espedienti che escogitano) e le madri, donne in carriera o comunque con apparenti maturità ed esperienza di vita, subiscono una regressione improvvisa, riunendosi di nascosto, farneticando a voce bassa e non mettendo al corrente le figlie dei tragici eventi di cui furono protagoniste.
La performance attoriale è eccellente partendo dai piccoli ruoli e culminando con Bailee Madison che film dopo film, serie dopo serie, consolida espressività, timbrica e gestione del corpo e risulta sempre più incantevole. Nel suo ruolo da quasi mamma che non ha quasi più niente da perdere risulta convincente e un po' folle. Menzione speciale alla famiglia Beasley e a Mallory Bechtel in particolare, la quale ha fatto girare le nostre teste con più energia di un parco giochi.
La trama è carina, tempestata di easter egg che scaldano il cuore (il Radley, i gemelli etc.) e la serie TV, come le migliori canzoni pop è più timida inizialmente per poi esprimersi al massimo nel bel mezzo dei fatti. È a tratti terrificante e a tratti un po' cringe ma questa è una cosa che francamente apprezzo molto.
Anche la trovata di non dover aspettare cinquantasette stagioni per scoprire l'identitò dell'antagonista e, attenzione, della mente dietro l'antagonista, è molto rassicurante. Tuttavia, il colpo di frusta ha preso una rincorsa eccessiva.
In conclusione, Roberto, ti voglio bene e questo non ha nulla a che vedere col fatto che condividiamo un bellissimo nome ma con quell'ltro fatto: mi fai ricordare che non si è mai abbastanza vecchi per un teen drama.
Roberto Aguirre-Sacasa porta a casa un altro prodotto destinato ad essere seguitissimo, per via di un cast eccellente, di una color palette dall’impronta inconfondibile e ad una trama che, con tutti i suoi errori e le sue piccole banalità, riesce a farsi seguire senza procurare noia.
madforseries.it
3,5
su 5,0