Immigration Nation: la Recensione della Serie TV sull'Immigrazione in America odiata dal Presidente Trump
Scritto da: Danilo di FeliciantonioData di pubblicazione:
Già da un po’ di tempo Netflix sta ampliando la sua libreria con prodotti di stampo documentaristico di ottima fattura, andando a fondo di certe tematiche particolarmente controverse attraverso la lente del reportage autoriale. In questa categoria di produzioni, in cui citiamo i bellissimi serial Wild Wild Country e il fenomeno Tiger King, possiamo certamente aggiungere Immigration Nation, docu-serie di sei episodi curati dai registi Christina Clusiau e Shaul Schwartz, disponibile da alcune settimane sul catalogo della famosa compagnia di streaming.
Rispetto al già citato Tiger King, su cui sin dalla messa in onda delle prime puntate è esploso un passaparola virtuale che le ha rese a dir poco virali, su Immigration Nation si è scritto e detto relativamente poco e a torto, ad avviso di chi vi scrive: lo show è infatti assolutamente di valore: un’inchiesta durissima su alcuni argomenti attuali che interessano gli States ma sono di riflesso anche parte del dibattito politico italiano da ormai diverso tempo, e si incentrano sulle politiche contro l’immigrazione messe in atto dall’amministrazione Trump, osannata da alcune fazioni politiche del belpaese.
Gli showrunner hanno deciso di fornire una prospettiva in merito osservando tali dinamiche dall'interno per circa due anni e mezzo, senza filtro alcuno, facendo parlare le immagini e i protagonisti, siano essi uomini in divisa o extracomunitari in fase di deportazione, mostrando allo spettatore la realtà di tale contesto nella sua crudezza.
Protagonisti assoluti della vicenda sono infatti gli agenti dell’I.C.E. ("Immigration and Customs Enforcement’s") e le vite spezzate di parecchi emigrati senza documento. Il compito dei primi è quello di prendere in custodia i secondi, presenti sul territorio americano, per poi espellerli dal paese.
Sin dai primi minuti del documentario, si capisce subito che con l’elezione del Presidente Trump il ruolo di questo particolare ramo delle forze dell’ordine si è fatto decisamente più importante e le loro attività sono aumentate esponenzialmente, soprattutto perché durante le precedenti amministrazioni venivano espulsi gli stranieri che si erano macchiati di gravi reati sul suolo degli Stati Uniti, a fronte della nuova direttiva "trumpiana" di arrestare e allontanare tutti gli immigrati irregolari.
L’osservatore rimane spiazzato nel vedere i responsabili dell’agenzia dover trarre in arresto i cosiddetti “collaterali”, immigrati senza documenti che però hanno un lavoro regolare e la fedina penale pulita, che si trovano nelle stesse abitazioni o stesso quartiere degli “obiettivi”, gli espatriati che hanno magari commesso dei reati in passato: gli agenti, anche quelli in disaccordo con queste linee guida, sono invitati caldamente dai vertici a fare retate per una questione di numeri, esaminano i singoli casi di queste persone in un paio di ore a fronte dei diversi mesi impiegati in passato, per poi procedere all'espulsione.
Come più volte ribadito dalle riprese, gli agenti dell’I.C.E. vengono considerati dalle persone che ne osservano l’operato come dei “nazisti”, sono oggetto di forti proteste da parte dell’opinione pubblica a cui rispondono, quasi all'unisono, “è solo il mio lavoro”.
L’aspetto che maggiormente contraddistingue questa serie di documentari è proprio la contraddizione che emerge alternando le riprese del lavoro degli agenti con le vicende singole di alcuni immigrati: la loro storia personale di separazione dalla loro famiglia, il dolore di dover rinunciare a coniugi, parenti e figli che a livello politico vengono liquidate con una freddezza che si avverte quasi fisicamente.
Viaggi verso la libertà interrotti, la retorica dello straniero irregolare pericoloso, il sogno americano che si frantuma e frantuma le singole storie di vita nei centri di detenzione come quello di El Paso, sono tutti elementi che mi hanno personalmente fatto pensare al cinema d’osservazione del maestro Friedrich Wiseman, a cui la serie si accosta più per gli intenti che per lo stile, decisamente più limato e contemporaneo rispetto alle opere del grande regista (potremmo tirare dentro anche Micheal Moore, da cui i registi si allontanano a livello estetico non inserendo le loro personali considerazioni, lasciando spazio solo alle sequenze filmate).
L’aspetto puramente formale e tecnico è infatti leggermente sacrificato in favore dei contenuti socio-politici, di una dichiarata critica alla “tolleranza zero” dell’amministrazione Trump, di cui ultimamente si parla poco anche a livello di cronaca perché oscurata dall'incapacità del Presidente di gestire l’emergenza COVID-19.
Non mancano comunque scene molto ben girate, un lavoro di ripresa a spalla che funziona benissimo, facendo immergere lo spettatore dentro la quotidianità che i due registi cercano di presentare senza mediazioni. Troneggia un voluto e dichiarato minimalismo, la regia è perfetta nel voler seguire il discorso critico prima e poi l’immagine in sé e il prodotto finale è intenso, sfiora il capolavoro, andandoci davvero parecchio vicino: il vostro recensore spera infatti che Netflix dia ancora carta bianca alla coppia Clusiau - Schwartz, che si sono dimostrati di certo due produttori con una voce originale e forte, da seguire attentamente.
Immigration Nation è una grandissima serie televisiva di inchiesta: un progetto molto ambizioso di docu-serie sociale capace di colpire allo stomaco per la durezza dei contenuti, non a livello visivo, ma a livello di coscienza.
Se Tiger King rappresentava un racconto vero talmente folle da sembrare fiction, qui abbiamo il fulcro opposto, una narrazione così reale e cruda da far male, commuovere e indignare nei confronti di un’agenzia che segue le decisioni della politica a prescindere, siano esse controverse o in aperto contrasto con i diritti umani: il clima xenofobo alimentato dal presidente americano viene completamente distrutto dai fatti, dalle scene documentate, dai racconti degli immigrati ed emergono puntata dopo puntata forti dubbi sulla sanità mentale del Tycoon e del suo intero gabinetto di governo.
D'altronde, Trump stesso ha cercato di far saltare la messa in onda di questo ottimo prodotto televisivo, per cui solo questo credo sia un validissimo motivo per vederla tutta d’un fiato.
madforseries.it
4,5
su 5,0