Da non Perdere: Rectify. La Recensione della Serie TV ideata da Ray McKinnon

Da non Perdere: Rectify. La Recensione della Serie TV ideata da Ray McKinnon

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Il racconto dell’Odissea umana di Daniel Holden, tra realismo e mito filosofico...

Rectify, serie prodotta da Sundance TV e ideata da Ray McKinnon, rappresenta uno di quei casi in cui la scrittura riesce davvero ad andare in profondità, scavando dentro vicende e personaggi, tanto da costringerci delle volte a “farci guardare dentro dall’abisso”, per parafrasare Nietzsche. Considerato da molti critici “un serial spiazzante e affascinante allo stesso tempo”, possiamo di certo considerarlo un piccolo caposaldo del genere drammatico/crime al pari di Breaking Bad e I Soprano, di cui è, in un certo modo, il rovescio della medaglia a livello stilistico e tematico.

La vicenda viene subito introdotta a partire dal primo episodio: Daniel Holden (interpretato da un Aden Young a dir poco impressionante) è un condannato alla pena capitale che, dopo aver trascorso 20 anni nel braccio della morte in un regime di semi-isolamento, viene rilasciato a pochi mesi dalla sua esecuzione a seguito del test del DNA che pare scagionarlo.
Tutto ciò rappresenta il nucleo fondativo della storia, sempre più coinvolgente e sfaccettata con lo scorrere degli episodi, da cui si sviluppa tutta la narrazione che è in primis uno studio sul reinserimento di Daniel nelle dinamiche familiari e nella vita di tutti i giorni, un’impresa complessa sin dall’inizio: la grandezza dello showrunner e, in questo caso specifico, dell’attore protagonista sta proprio nel comunicare allo spettatore il dolore di un allora-diciottenne che ha praticamente trascorso vent’anni della sua vita subendo abusi in carcere, perdendo una fase intera della sua esistenza oltre che l’allontanamento forzato dal mondo per poi essere letteralmente sbattuto fuori e doversi confrontare in primis con quello che è diventato, e col suo passato, perso e in qualche modo ritrovato.

I rimandi al caso di cronaca dei West Memphis Three, per molti anni oggetto dell’attenzione dei media e di numerosi artisti (Joe Strummer, Tom Waits, Lemmy Kilmister, Black Flag, Henry Rollins Band per fare qualche nome) e del loro attivismo in funzione della revisione del processo, sembrano molto più di una eco e, al contrario, contribuiscono a rendere molto più realistico il contesto della narrazione: alla vera odissea moderna del protagonista, si affiancano le diverse sottotrame legate alla vita dei familiari di Daniel, della sorella Amantha (una brava e bellissima Abigail Spencer) e dei protagonisti principali dell’indagine.
Il tutto ha come sfondo la ricerca della verità e il mistero sull’omicidio di cui Daniel è accusato, avvenuto a Paulie (Georgia), classica cittadina rurale americana alla Springfield dei Simpson, in cui i tempi scorrono lenti e i valori conservatori sembrano fortemente radicati.

Da non Perdere: Rectify. La Recensione della Serie TV ideata da Ray McKinnon

Le scelte registiche messe in atto sono fortemente ispirate ad un minimalismo controcorrente rispetto a produzioni più eloquenti che contraddistinguono la quasi maggioranza delle serie drammatiche: le scene in cui ci sono più di tre, quattro attori al massimo sono davvero poche; l’attenzione è rivolta principalmente ai personaggi e alle loro interazioni. 

I ritmi lenti sembrano voler mettere l’accento sul tempo stesso, a volte dilatato per far emergere la materia da raccontare e il risultato dello scavo all’interno della psiche dei protagonisti: la fotografia presenta la prevalenza di un bianco “caldo” con cui sottolinea i momenti più umani e si accosta in determinate sequenze a movimenti di macchina ascensionali che rimandano al riemergere, all’ascendere (inteso anche come crescita personale) - elementi in netto contrasto con i toni più cupi e le discese agli inferi che abbiamo apprezzato nei racconti di Walter White o Tony Soprano.
Questo mito della caverna di Platone contemporaneo si avvale di un comparto tecnico e registico assolutamente solido, raffinato e mai mai eccessivo nelle scelte; gli attori offrono tutti una prova decisamente convincente (su tutti, ribadiamo, Aden Young che è davvero mostruosamente bravo) e la produzione è impreziosita, inoltre, da una colonna notevole dei Balmhorea, che hanno composto anche la bellissima “Bowspirit”, sigla di apertura dello show.

L’autore, più volte intervistato, ha dichiarato il suo interesse nel narrare non solo alla vicenda come caso di cronaca, ma tutto quello che sarebbe potuto accadere una volta che Daniel fosse tornato in libertà: possiamo dire con un’adeguata certezza che l’intento sia stato pienamente raggiunto e che la sua visione ci abbia regalato una delle serie più belle di sempre. Da vedere e rivedere.

Tempo perso, ritrovato, che delle volte sembra immoto ma continua sempre a scorrere; la forza nell’accettare chi siamo, i rimpianti, le nostre colpe e la capacità di migliorarsi nonostante le difficoltà presenti, passate e future; tutte queste sono corde che, se sapientemente toccate, sono in grado di restituire al pubblico opere dal forte impatto, emotivo e simbolico. Rectify, in questo, riesce benissimo, riducendo all’osso una certa retorica (presente ad esempio in This is Us), rallentando i ritmi e offrendoci una serie assolutamente non da tutti, vista la densità - filosofica, realistica e maledettamente umana - di ciò che viene raccontato.

madforseries.it

5,0
su 5,0

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